Il 19 ottobre si è svolta a Roma la presentazione del libro “Architettura e liturgia. Intese, oltre i malintesi” di Leonardo Servadio (2023, TAB Edizioni).
Insieme al curatore Leonardo Servadio, sono intervenuti in qualità di relatori alla presentazione del libro: don Luca Franceschini, responsabile dell’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici e l’Edilizia di Culto della CEI (Conferenza Episcopale Italiana); Giovanni Gazzaneo, critico d’arte e coordinatore della rivista “Luoghi dell’Infinito”; Stefano Mavilio, architetto e docente alla Facoltà di Architettura dell’Università di Valle Giulia.
Per meglio comprendere il senso e i contenuti del dibattito su architettura e liturgia, abbiamo intervistato il curatore del libro, Leonardo Servadio.
Quali sono stati gli argomenti che i relatori hanno trattato nel corso dell’incontro che si è svolto a Roma?
Nel libro sono contenute diverse testimonianze: quella del compianto mons. Giancarlo Santi, che fu il primo direttore dell’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici e istituì i concorsi chiamati “progetti pilota” per le nuove chiese, nonché quelle del liturgista prof. don Paolo Tomatis e di don Valerio Pennasso, che è stato direttore dell’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici e l’Edilizia di Culto dal 2015 al 2022. Il successore di quest’ultimo, don Luca Franceschini, ha fatto riferimento a questi interventi. Il compianto prof. Paolo Portoghesi ha redatto un’ampia introduzione al volume nella quale discute delle varie tendenze progettuali di questi ultimi decenni, e l’architetto Stefano Mavilio ha approfondito quanto esposto da Portoghesi.
Per inciso, i testi di Giancarlo Santi e di Paolo Portoghesi sono gli ultimi da loro pubblicati prima del loro ritorno alla casa del Padre.
In qualità di curatore del libro, ho spiegato che, nell’avvicinarsi alla progettazione delle chiese o nel valutarne l’appropriatezza e la qualità architettonica, non si deve seguire un approccio di carattere astrattamente formale, ma occorre considerare quello che mi sembra un aspetto fondamentale della presenza della chiesa nella città, soprattutto nei tempi attuali in cui la società è così drammaticamente irreligiosa e lontana dalla Chiesa.
Questa temperie dominante fa sì che chi si avvicina ed entra in una chiesa si trova a dover superare una distanza enorme: non sul piano fisico, ma su quello emotivo, psicologico e spirituale. Per cui il percorso che porta ad avvicinarsi ad una chiesa e ad entrarvi dovrebbe far sì che la persona possa riconoscere ed apprezzare il cambiamento radicale che avviene nel passare dallo spazio profano a quello sacro.
Secondo tale logica, l’edificio chiesa dovrebbe offrire una serie di soglie significative che demarcano i passi di questo percorso.
L’edificio chiesa, con la sua presenza, è chiamato a far sentire questo percorso in modo tale che chi vi si inoltra possa sentirsi invitato a compiere il passaggio, a distogliere lo sguardo dalle preoccupazioni quotidiane per guardare altrove: alla buona novella.
Lo spazio strutturato della chiesa è in grado, se ben studiato ed elaborato come spazio dinamico, di favorire questo passaggio. Il sagrato e la piazza che precedono la chiesa segnano una prima soglia; la facciata è una seconda soglia significativa e così anche il portale.
Nell’entrare nella chiesa, il battistero ricorda l’ingresso della persona nella comunità cristiana. E così il camminamento che dalla soglia conduce verso il centro focale dello spazio liturgico: l’altare. Questo impernia il complesso dell’aula celebrativa e ad esso si rivolgono tutti gli altri poli liturgici.
Se l’architettura è concepita in modo tale da esplicitare questo percorso scandito da soglie, allora è in grado di rievocare il percorso di vita del cristiano. Si tratta di uno spazio eloquente, e in tale eloquenza si manifesta la sua bellezza, anche in questa nostra epoca travagliata. Se seguono questa logica, le scelte formali del progetto saranno coerenti e adeguate.
C’è uno stile, un’architettura specifica, una modalità di relazione con la liturgia che lei proporrebbe per le chiese di prossima costruzione?
Non si propone alcuna architettura specifica. Non c’è un modello formale che possa ritenersi il prototipo della chiesa esemplare. In realtà non c’è mai stato nella storia della Chiesa. La basilica romana è stata adottata dall’epoca di Costantino e nelle epoche seguenti ha trovato moltissime realizzazioni, ma, com’è noto, in precedenza tale architettura non aveva nulla a che fare con la chiesa. Potremmo dire in modo paradossale che, se Costantino e sua mamma Elena vivessero oggi, probabilmente adotterebbero come modello di chiesa una struttura architettonica molto diffusa e usata per le pubbliche riunioni: ad esempio quella di un palazzetto dello sport.
Nel corso della storia, accanto al modello basilicale troviamo tante chiese a pianta centrale, squadrate, poligonali, rotonde, a croce latina o a croce greca, con accesso in asse o sul lato, con e senza campanile…
Oggi le nuove tecniche costruttive permettono le realizzazioni più varie. Può citarmi qualche esempio architettonico di chiesa più o meno riuscito?
Dagli anni Cinquanta del ‘900 ha riscosso molto successo la cappella di Ronchamp, progettata da Le Corbusier sotto la direzione di padre Marie-Alain Couturier, domenicano esperto d’arte. È una delle “icone” della chiesa contemporanea. E c’è stato chi ha cercato di riproporla erigendola a prototipo della chiesa dei nostri giorni. Ma è stato un fallimento: altro è l’originale, altro l’imitazione. Quella cappella ha un senso come creazione architettonico-artistica nel luogo in cui si trova, nell’epoca in cui è nata. Posta altrove è come un pesce fuor d’acqua.
La chiesa non può essere pensata come un’architettura astratta. Ci sono tanti esempi di chiese riuscite. E tanti esempi di chiese non riuscite. Si può imparare studiando tutti questi esempi.
Vorrei citare un esempio di chiesa contemporanea che mi sembra tra i meno riusciti: la chiesa dedicata a Dio Padre Misericordioso di Tor Tre Teste, progettata da Richard Meier, vincitrice del primo concorso internazionale indetto in vista del Grande Giubileo del 2000. È una chiesa dove il percorso segnato da soglie, di cui dicevo prima, risulta assente e in cui la centralità dell’altare è lungi dal manifestarsi. È una magnifica architettura di un grande autore e dona centralità al quartiere periferico di Roma, ma come chiesa mi sembra concepita in modo difettivo, perché nella progettazione non è stata tenuta in conto la conformazione dello spazio liturgico che ne dovrebbe costituire l’essenza.
Tuttavia mi sembra che l’esperienza di quel concorso abbia contribuito ad affinare le modalità organizzative per i concorsi finalizzati alla realizzazione di progetti per le chiese. Infatti vi sono diverse chiese, realizzate sulla base dei concorsi indetti negli anni successivi, che sono esempi di opere ben riuscite, sia sul piano liturgico e simbolico, sia per il rapporto che stabiliscono con la città.
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Leonardo Servadio è un giornalista, già direttore del settimanale “Nuova Solidarietà” e corrispondente di “Executive Intelligence Review”. Nel corso degli anni si è occupato in particolare di architettura e cultura per diverse riviste specializzate. Collabora con “Avvenire” e “Luoghi dell’Infinito”. Dirige le riviste web: www.frontiere.info; www.architetturasacra.org; www.jerusalem-lospazioltre-it. Tra i suoi libri: “FKS riflessi e riflessioni” (Medusa, 2005); “Lo Stato Nazione. Evoluzione e globalizzazioni” (Domus Europa).
Intervista a cura di Antonio Gaspari
Direttore Orbisphera
www.orbisphera.org
Per leggere il libro “Architettura e liturgia. Intese, oltre i malintesi” di Leonardo Servadio: