«Strano professore di religione, “brutto e affascinante”, che rompeva ogni schema a cui eravamo abituati. Non ci riempiva di nozioni e rispondeva a tutte le nostre domande, ai nostri dubbi. Don Giussani ci ascoltava, cercava di comprendere le ragioni dell’altro…».
A parlare così è Giuliano Pisapia, già deputato di Rifondazione Comunista e sindaco di Milano come indipendente di sinistra, che aveva incontrato don Luigi Giussani al Liceo Berchet di Milano.
La citazione è tratta dal libro a cura di Massimo Borghesi “In comunione e in libertà. Don Giussani nella memoria dei suoi amici”, pubblicato da Studium edizioni (www.edizionistudium.it).
Il libro riporta le testimonianze originali di venticinque amici di don Luigi Giussani e intende far conoscere e approfondire il carisma del fondatore di “Comunione e Liberazione” nella sua umanità generosa, nella sua fede limpida, nella sua passione cristiana.
Racconta Pisapia che «il dialogo e il confronto anche critico erano il cattolicesimo e la testimonianza di fede di don Giussani. Non era la ripetizione mnemonica di dogmi e insegnamenti, ma la volontà di vivere la fede vissuta sul campo».
«Don Giussani – aggiunge Pisapia – parlava di fede, ma senza nessuna pretesa di indottrinamento. Aveva una carica umana enorme. Bandiva tutte le formalità. La sua forza era il dialogo. Voleva che noi avessimo il coraggio di difendere il nostro pensiero, anche se era contrario al suo. Non partiva mai dai dogmi come facevano gli altri preti. Ci voleva liberi. Con lui potevamo parlare di tutto».
Giuliano Pisapia, che dal 1968 ha fatto un percorso politico nelle formazioni social-comuniste, ha confessato: «Senza Giussani non so se avrei capito il senso di stare dalla parte dei deboli. E poi mi ha insegnato che l’esperienza conta più di qualsiasi lettura».
Secondo Massimo Borghesi, curatore del volume, Alberto Savorana (autore di un libro sulla vita di Giussani) e il suo allievo Lorenzo Strik Lievers, don Giussani era “spiazzante”, lontano dal classico insegnante di religione teso a indottrinare, a catechizzare, a fare proseliti. Non era clericale, non proponeva una religione senza anima, frutto di ossequio e di abitudine. La fede, per lui, era guardare agli altri come faceva Gesù, con compassione, amore e amicizia. Per lui era decisivo creare le condizioni perché si verificasse l’incontro con Gesù attraverso un’esperienza di vita corrispondente alla domanda umana.
«Cristo ha risposto alla domanda umana», affermava don Giussani, non gli bastava il cristianesimo formalistico e convenzionale, voleva una fede viva che corrispondesse alle esigenze profonde dell’animo umano. La proposta cristiana doveva portare alla scoperta di Cristo, del contenuto storico del Vangelo e della divina umanità di Gesù.
Don Gius (il diminutivo con cui veniva chiamato) cercava di immaginare e ripetere in ogni situazione l’esperienza dell’incontro tra i primi discepoli e Cristo: l’esperienza viva e appassionata di sentire Gesù, di comprendere il suo amore salvifico, non solo con la ragione ma soprattutto con il cuore.
Per Giussani, «i cristiani dovrebbero essere i difensori della libertà dell’uomo perché, al di là dei miracoli, Cristo è apparso come la voce, la presenza che liberava».
E ancora: «il Cristianesimo può vivere nel mondo moderno solo se viene praticato e vissuto come esperienza di libertà, come capacità di affrontare realisticamente e globalmente la realtà e la storia rispondendo ai bisogni dell’uomo, e questo fuori da ogni clericalismo».
Con la disarmante semplicità di un umile testimone di Cristo, don Giussani diede vita a “Gioventù Studentesca”, all’associazione laicale “Memores Domini” e al movimento “Comunione e Liberazione”. Organismi che ottennero vasta diffusione e adesioni soprattutto tra i giovani universitari.
A tale proposito, Papa Francesco ha detto: «Comunione e Liberazione nacque in un tempo di crisi quale fu il Sessantotto. Don Giussani non si è spaventato dei momenti di passaggio e di crescita, ma li ha affrontati con coraggio evangelico, affidamento a Cristo e in comunione con la madre Chiesa».
Nell’incontro del 1976 a Riccione con gli universitari (il più grande e partecipato di sempre), don Giussani spiegò: «Il cristianesimo non è un messaggio di vittoria politica o di benessere sociale. Il cristianesimo non è un’ideologia, ma la testimonianza di persone che hanno incontrato Cristo».
Pochi sanno che don Giussani era molto illuminato e libero nel rapporto con le parti politiche. Possiamo ricordare, ad esempio, che aveva un’ammirazione per le opere, gli scritti e la cultura di Pier Paolo Pasolini. Stava scrivendo una lettera per incontrarlo, quando arrivò la notizia della morte dello scrittore. Giussani era convinto che «se Pasolini avesse partecipato a due nostri raduni, ci avrebbe investito di invettive, ma sarebbe diventato uno dei nostri capi».
Quando uscì il numero zero de “Il Sabato”, il settimanale ciellino, la prima pagina recava la foto di Aldo Moro imprigionato dalle Brigate Rosse. Il primo direttore de “Il Sabato” fu il giornalista cattolico Vittorio Citterich, discepolo del grande sindaco di Firenze Giorgio La Pira.
Giussani provava inoltre una grande stima e amicizia per lo scrittore, critico e giornalista Giovanni Testori, che da ateo e bestemmiatore si era fatto cristiano. Negli anni Ottanta e Novanta Testori diventerà una delle firme di riferimento de “Il Sabato”. «Testori ci ha aiutato a conoscere di più e ad amare e a lavorare per Cristo», affermò don Gius.
Per dare un’idea dell’apertura e del desiderio di dialogo di don Giussani, resta significativo l’incontro con don Giuseppe Dossetti. La stampa del tempo presentava Giussani e Dossetti come due anime opposte del cattolicesimo italiano, perché li collocava uno a destra (Giussani) e l’altro a sinistra (Dossetti). Invece, nel 1987, don Gius incontrò Dossetti e la comunità monastica di Monte Sole in un’atmosfera amabile. Giussani rimase commosso dai monaci che pregavano per l’esperienza di Comunione e Liberazione.
Un cammino di testimonianza, quello di don Giussani, che ha dato origine ad una vasta aggregazione di studenti e di persone basata sull’amicizia cristiana e sull’incontro con Gesù Cristo.
Le parole d’ordine del movimento sono ancora oggi: “incontro”, “avvenimento”, “presenza”, “fatto cristiano”. Parole usate da Giussani come paradigma per il mistero che raggiunge l’umano.
Il 24 febbraio 2005, durante le esequie di don Giussani, l’allora cardinale Joseph Ratzinger disse: «Ha tenuto fisso lo sguardo della sua vita e del suo cuore verso Cristo. Ha capito in questo modo che il cristianesimo non è un sistema intellettuale, un pacchetto di dogmi, un moralismo, ma che il cristianesimo è un incontro, una storia d’amore, un avvenimento. Qui sta la radice del suo carisma».
E Papa Francesco, nell’incontrare il 15 ottobre 2022 gli aderenti a Comunione e Liberazione in occasione del centenario della nascita del loro fondatore, ha pronunciato queste parole: «Don Luigi aveva una capacità unica di far scattare la ricerca sincera del senso della vita nel cuore dei giovani, di risvegliare il loro desiderio di verità. Da vero apostolo, quando vedeva che nei ragazzi si era accesa questa sete, non aveva paura di presentare loro la fede cristiana. Ma senza mai imporre nulla. Il suo approccio ha generato tante personalità libere, che hanno aderito al cristianesimo con convinzione e passione; non per abitudine, non per conformismo, ma in modo personale e in modo creativo. Don Giussani aveva una grande sensibilità nel rispettare l’indole di ognuno, rispettare la sua storia, il suo temperamento, i suoi doni. Non voleva persone tutte uguali e non voleva nemmeno che tutti imitassero lui. Voleva che ognuno fosse originale, come Dio lo ha fatto».
Antonio Gaspari
Direttore Orbisphera
www.orbisphera.org
Per leggere il libro a cura di Massimo Borghesi “In comunione e in libertà. Don Giussani nella memoria dei suoi amici”: