Il viaggio in Iraq di Papa Francesco e l’incontro con il Grande Ayatollah Ali al-Sistani sono eventi destinati a segnare la storia del mondo.
Per cercare di capire di più su come e quanto l’incontro tra il Papa di Roma e il Grande Ayatollah sciita potrà influire sul futuro del pianeta, “Orbisphera” ha intervistato il prof. Paolo Sorbi, che conosce molto bene i personaggi e la storia del Medio Oriente.
Abbiamo domandato al prof. Sorbi: «Chi è al-Sistani e qual è la sua rilevanza nel mondo in termini religiosi e politici?».
«Il Grande Ayatollah al-Sistani – ha risposto Sorbi – è una delle più straordinarie figure dell’Islam. Ha dato continuità a quel filone “popolare e proletario” di vicinanza alle rivolte dei poveri che, da centinaia di anni, caratterizza le culture dell’Islam sciita.
Questa corrente di pensiero interna alla famiglia sciita era già emersa negli anni Venti/Trenta del secolo scorso all’interno dell’Irak “iraniano”.
In contrapposizione ai vari partiti nazional-rivoluzionari “Baath”, che erano sorti negli anni Trenta in seguito agli scontri tra il nazionalsocialismo pantedesco e i movimenti comunisti in Europa, al-Sistani ha rielaborato gli antichi filoni “popolari pauperistici” come espressione di una componente antropologico-culturale interna alla tradizione degli sciiti islamici.
Un recupero radicale proletario e progressista “di sinistra” che, in quegli anni, lo ha visto lottare affinché i popoli iraniani e irakeni di osservanza sciita si liberassero dalle dittature.
Dall’inizio della crescita democratica in Irak, nel primo decennio del 2000, al-Sistani ha svolto un grande ruolo di mediazione, prima tra gli americani e le realtà comunitarie irachene, poi schierandosi con il nucleo – modesto ma decisivo – delle istituzioni pluraliste a Baghdad.
In quest’opera di mediazione al-Sistani si è opposto anche ai suoi alunni, come Muqtada-al Sadr, che volevano rompere con la giovane democrazia irakena. Che invece, molto lentamente e coraggiosamente, si sta facendo strada e sta progredendo in un ambiente così difficile».
L’incontro tra Papa Francesco e al-Sistani viene ritenuto un evento di rilevanza mondiale sia per quanto riguarda i rapporti interreligiosi – è il primo incontro nella storia tra un Pontefice e un Ayatollah sciita – che per quanto concerne i processi di pace in zone ancora funestate da scontri armati. Qual è la sua opinione in merito?
«L’incontro con Papa Francesco ha dell’incredibile. È come se un Papa cattolico, nel ‘500 europeo, si fosse incontrato con il capo dei contadini evangelici poveri Tommaso Muntzer. La simbolicità è impressionante. E senza una politica attenta alla componente emozionale e simbolica, in Medio Oriente non si può ottenere alcun risultato, essendo i processi di secolarizzazione ancora molto confusi e impastati di dinamiche teologico-politiche.
A tale proposito, vorrei accennare ad una analogia di carattere religioso tra i due formidabili personaggi. Il “messianismo” sciita si incentra attorno alla figura del “Mahdì”, cioè del ritorno di una sorta di “salvatore messianico dei poveri” che apparirà per estirpare il male e completare l’opera di Maometto.
Al-Sistani pensa che Papa Francesco si inserisca attivamente nell’azione volta ad accelerare la dinamica sociale di riscatto internazionale dei poveri, in vista del ritorno del “Mahdì”.
Insomma, tra i due ci sarebbe un intreccio “vocazionale”. L’uno, il Papa “romano”, tende a rendere concreta l’opera di transizione verso una società ecodinamica ed egualitaria; l’altro, il Grande Ayatollah sciita, testimonia l’aspetto di unificazione spirituale messianico.
Si apre quindi un eccezionale periodo di dialogo, mediato dal Papa, tra l’area sunnita e la tendenza dei poveri sciita, oggettivamente contraria ai fondamentalismi. E questo sia nell’attuale regime iraniano, sia nelle componenti sunnite ancora intestardite in attacchi antisemiti senza senso».
Nel complesso cosa pensa della visita di Papa Francesco in Iraq? E che significato ha questo viaggio nel quadro geopolitico del Medio Oriente?
«Come si può facilmente capire, ne sono felice. Credo che il viaggio abbia aiutato molto quella dinamica che ha preso il nome di “Patto di Abramo”. Ossia aprire canali di dialogo tra le tre grandi religioni rivelate e accompagnare questo dialogo con politiche di sostenibilità nell’ambito della crescita economica di quelle nazioni.
Sono certo che molto sta maturando a Teheran e che, gradualmente, anche con il decisivo apporto di al-Sistani, molto muterà e si orienterà verso sviluppi di dialogo inaspettati. E questo per merito di Papa Francesco».
E quali ripercussioni potrebbe avere questo dialogo nel contesto mondiale?
«Le ripercussioni saranno innanzitutto mediorientali. Ma, in prospettiva, la strategia di Papa Francesco si muove – dentro il grande scenario della testimonianza evangelica, senza chiedere poteri, ma anzi con mezzi poveri – verso l’area cinese. È lì che, da lucido seguace di Matteo Ricci e della “missione” profonda della Compagnia di Gesù, punta il Papa: la Cina!
Papa Francesco segue i sentieri delle dinamiche mediorientali “messianiche” per collegarli con il pragmatismo culturale del continente asiatico: sempre alla luce di quella socializzazione del genere umano così radicata nel suo pontificato scaturito dalle radici del Concilio Vaticano II».
Intervista a cura di Antonio Gaspari
Direttore Orbisphera
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