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La Sindone: dal Medioevo ai giorni nostri

Dopo il saccheggio di Costantinopoli da parte dei crociati avvenuto nel 1204, della Sindone si persero le tracce. Il sacro telo ricompare più di un secolo dopo nel piccolo comune di Lirey, in Francia. 

Geoffroy de Charny, un valoroso cavaliere morto nel 1356 nella battaglia di Poitiers per difendere il vessillo del re di Francia, è il primo possessore noto della Sindone (sebbene non sia dato sapere con certezza come ne fosse venuto in possesso). 

Nel 1353 de Charny, adempiendo a un voto pronunciato durante la sua prigionia in Inghilterra, fece dono della Sindone ai canonici della chiesa di Lirey, affidandone ad essi la custodia. 

La reale presenza della Sindone è testimoniata dal fatto che la piccola chiesa di legno divenne una popolare meta di pellegrinaggio, al punto che l’antipapa Clemente VI le concesse il dono dell’indulgenza per i pellegrini.

A causa dei crescenti pellegrinaggi, la chiesetta di Lirey che custodiva la reliquia era visitata da migliaia di fedeli. Accadde così che il Vescovo di Troyes, Pierre d’Arcis, vedendola diventare quasi più ricca della cattedrale, preso dall’invidia, nel 1389 vietò la pubblica ostensione e minacciò di scomunicare i canonici e tutto il clero della diocesi che periodicamente si recava lì a pregare.

il Vescovo scrisse anche all’Antipapa Clemente VII e al Re di Francia chiedendo di mettere fine ai pellegrinaggi. Per giustificare la sua richiesta, Pierre d’Arcis sostenne che il sudario di Cristo era un falso, dipinto da un pittore reo confesso.

Ma né l’Antipapa né il Re di Francia credettero al Vescovo. Nel frattempo, Geoffroy II de Charny, figlio del cavaliere che aveva donato la Sindone ai monaci, sposò la nipote di Clemente VII.

Nel 1390 l’Antipapa emise una bolla con la quale autorizzava i pellegrinaggi e ripristinava le indulgenze, a condizione che non si dicesse che la Sindone era una reliquia autentica.

Nel 1438, l’ultima proprietaria della Sindone per la famiglia de Charny è Marguerite de Charny, una vedova in ristrettezze economiche il cui figlioccio era stato catturato in guerra. A causa dell’ingente somma da pagare per il riscatto, la donna decise di vendere la Sindone al miglior offerente, anche a costo di rischiare la scomunica. 

Nel 1453 fu il duca Ludovico di Savoia ad acquistare la Sindone, anche se ufficialmente l’acquisto venne presentato come una donazione, consistente in un castello e una rendita di cento fiorini.

La Sindone divenne così un simbolo di rappresentanza di Casa Savoia. Venne collocata a Chambery, la capitale del ducato, in una cappella che ottenne successivamente da papa Sisto IV il titolo di “Sainte-Chapelle”, mentre papa Giulio II le concesse un rito speciale denominato “Messa per la Sacra Sindone”.

Ormai i pontefici non hanno più dubbi sull’autenticità della reliquia. Il francescano Sisto IV la cita perfino nel suo trattato “De Sanguine Christi”.

Disgraziatamente, nel 1532, nella Sainte-Chapelle di Chambery si verificò un incendio che rischiò di distruggere la Sindone e lasciò evidenti e vaste bruciature ai lati del telo. Le Clarisse di Chambery impiegarono due anni per eseguire il restauro.

Infine, nel 1578, in occasione del pellegrinaggio dell’Arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, la Sindone venne trasferita nel Duomo di Torino, dove è tuttora custodita. 

Eugenio Merrino

24 giugno 2020 Indietro

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